I racconti degli alunni/ Forze del caos

Di Rachele Valanzano (II C)
“Stava solo scappando, aveva solo paura…”. Detto così sembrerà la fine di un Horror ma invece no, non è un Horror, e nemmeno la fine. Loro credevano che tutto sarebbe finito mettendoci una pietra sopra, non capendo che qui ci sarebbe voluta una roccia e che forse non sarebbe nemmeno bastata. Mi riferisco alle forze dell’ordine, a quelli  che hanno salvato tante vite, ma  qualcuno tra loro ha anche ucciso volontariamente una persona indifesa ed è così, che  “dall’alto”, sono caduti in basso. Dovrebbero mantenere la sicurezza e anche l’ordine, come dice il loro stesso nome. E lo fanno. Ma, 9 mesi fa, qualcuno tra loro ha creato solo un gran caos. È il 6 Marzo, uno di quei giorni in cui un minuto prima c’è il sole e l’attimo dopo la tempesta.

“Spero ancora in un messaggio”, mi ripeto ogni 5 minuti osservando l’orologio che, stranamente, sembra andare avanti troppo velocemente. No, non è passato qualche giorno, e no, non è nulla di serio, o almeno è quello che continuano a ripetere tutti i miei compagni. Stefano non si fa vivo e io non so più che fare, sono giorni che non lo vedo, che non viene a scuola, come se fosse improvvisamente scomparso, anche il mio cellulare ha perso il conto delle chiamate che gli ho fatto senza ricevere risposta. Dal nulla il suo nome appare sulla schermata del mio telefono: ” Puoi uscire tra 10 minuti?”. Mi dice come se fosse tutto ok, “Si ma… dov’eri finito?” Gli dico un po’ stupita, arrabbiata e felice per la telefonata, “Ti spiego dopo. Ci vediamo al solito posto”. Tempo 10 minuti e sono pronta, mai successo in vita mia, vado al nostro posto e lui è lì, dove si siede sempre per aspettarmi, con un cappuccio in testa che quasi nemmeno lo riconosco. “Adesso mi spieghi tutto”, gli dico subito, ma quando poi alza la testa per guardarmi, è come se avessi già capito tutto: occhio gonfio, naso rotto, faccia ricoperta di graffi… eppure non riesco a capire del tutto. I suoi occhi sono diversi, il fuoco vivo nei suoi occhi, spento da lacrime amare, piene di rancore; meno di un secondo e mi abbraccia con la forza rimasta, che nonostante tutto, è ancora tanta. Mi ha sempre detto che io non devo chiedere, che lui mi parlerà sempre di tutto ma di sua volontà, quando vorrà, così rimaniamo in silenzio, abbracciati, senza dire una parola. Il tempo passa e lui non dice nulla; “Devo tornare a casa” gli dico, come per fargli capire che deve sbrigarsi a raccontarmi cosa è successo ma lui nulla, mi saluta e aggiunge “Non ho più WhatsApp, quando dobbiamo vederci ti chiamo io”.

È sempre stato così, poco amante dei social, “un bimbo fuori vecchio dentro”, lo chiamo sempre così per prenderlo in giro ma in realtà vado fiera di ciò; ha i comportamenti di un adulto e il modo di pensare anche, sfiderei chiunque a trovare un uomo così. Mentre mi ritrovo in una strada piena di macchine e gente che si accalca intorno a me, inizio a pensare così forte da non sentire più nulla, sento solo la mia voce e ho il volto di Ste impresso in mente come una fotografia. Ha combinato un altro guaio, con i genitori forse, ma non potevano mica conciarlo così? C’è qualcosa di grande sotto, qualcosa che è più grande di lui, la voglia di tornare indietro è troppa ma conoscendolo, so che se la prenderebbe. Da quando ci siamo visti il tempo e i giorni iniziano a passare di nuovo velocemente e io non faccio altro che pensare a lui e a cosa possa essere successo. Sono trascorsi tre giorni e finalmente arriva una sua telefonata. “Stefano, basta! Non puoi continuare a fare così, mettiti nei miei panni!” gli dico senza nemmeno pensarci, “Hai ragione, tra 10 minuti, al nostro posto”. Questa volta in 5 minuti sono pronta, così mi incammino prima, tanto so per certo che lui è già lì. Ha di nuovo il cappuccio in testa, è seduto lì nella stessa posizione, questa volta non dico niente, alza la testa e non posso fare a meno di notare in lui dei peggioramenti. Non mi siedo affianco a lui, “Non si
tratta di una sciocchezza, ho bisogno di sapere”, dico senza riuscire a guardarlo negli occhi. È come se riuscissi a provare ciò che sta provando lui, un collegamento che ci rende tremendamente simili. Il tempo passa velocemente, ma questa volta mi sta parlando e io non ho fretta, la voce gli trema, le mani anche, gliele prendo per riscaldarle. Dopo avermi raccontato tutto scoppia a piangere e io anche; non so cosa fare, mi sento piccola e inutile. In quella settimana Stefano scompare. E scompare perché dei poliziotti, nella notte, gli hanno trovato 8 grammi di Hashish nei calzini e lo hanno rilasciato al sorgere del sole. Quel sole, che nel frattempo nasceva, mentre lui un po’ moriva. Lo hanno picchiato perché continuava a ripetere che era per uso personale, ma due poliziotti credevano di conoscere la verità meglio di lui. Io sapevo già del suo uso di droghe, non so quante volte gli avevo detto che avrebbe dovuto smetterla, ma in quelle condizioni, non riuscivo a dirgli una parola contro. Ci salutiamo e riesco a sentire il suo respiro che finalmente si calma.

Da quel momento non passano più giorni, ma due settimane; inizio a preoccuparmi sul serio e, presa dal panico che mi sta ormai divorando, decido di chiamare sua mamma: “Salve signora, sono la ragazza di Stefano, sa dirmi dov’è?” le dico tutto d’un fiato. “Scusami, non ti ho avvertita, Ste è in prigione, se vuoi giovedì vieni con noi a trovarlo” in 7 secondi il mondo mi crolla addosso, “Si… ok… grazie… a Giovedì…” Cinque parole sono il massimo che riesco a dire. In prigione… Stefano… in prigione… non riesco più a pensare. Arriva il giovedì fin troppo atteso e mentre siamo in macchina il silenzio viene rotto dalla mamma di Ste: “Sai, Stefano mi parla sempre di te, ogni volta dice che sei la donna della sua vita”. Erano giorni che non sorridevo e pensavo che nessuno se non lui ci sarebbe mai riuscito in questo momento. Finalmente arriviamo e ci dicono che serve un documento e che senza non possiamo entrare, non riesco nemmeno a commentare. “È la terza volta che provo a vedere mio figlio, la terza volta!” dice la mamma di Ste con le lacrime agli occhi, e io, di Nuovo, non riesco più a pensare. Passano altre settimane, quasi un mese, la mamma ha detto che mi avrebbe avvisata in caso di novità e infatti, la novità arriva. “Pronto signora” le dico quasi felice dalla telefonata, “Ciao piccola, devo darti brutte notizie… Ste non c’è più…” Non riesco a rispondere, rimango a guardare il telefono e poi stacco, stacco il telefono e anche gran parte del mio cuore. Stava solo scappando, aveva solo paura, stava scappando dagli altri per ritrovare se stesso. In nove mesi nasce un bimbo, oggi sono nove mesi che il mio “bimbo fuori e vecchio dentro non c’è”. Nove mesi non bastano per dimenticare, nemmeno un anno, nemmeno una vita. Non si deve dimenticare, lui stava solo cercando se stesso, dopo che gli altri gli hanno fatto perdere tutto, adesso anche la vita.